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Il
risveglio di Renzi
Una prima sconfitta
Siamo
sempre stati abituati a leggere le elezioni amministrative per quello che
sono, soprattutto quando sono parziali. Così come
ogni elezione in generale, va distinta, perché diversa e più complessa delle
europee ed ancor di più dalle politiche. Fu solo il disastro delle Regionali
in cui incorse un governo del 2000 a porre in questione
le dimissioni dell’esecutivo, ma anche quel caso fu molto particolare essendo
quello un governo che aveva sostituito con un voto parlamentare un governo
eletto dai cittadini. Il governo Renzi ha solo sostituito un
governo Letta, di risultanza parlamentare come il suo e quanto
previsto dalla lettera costituzionale. Con questo metro, Renzi non avrebbe
dovuto montarsi la testa dopo le europee e non ha ragione di sfasciarsela oggi,
se non fosse che le elezioni europee che
constatarono un incredibile gradimento per la sua promessa di governo,
cozzano negativamente con queste regionali dove oramai l’elettorato si è
fatto un’idea più precisa di quanto fatto. Diciamo che l’azione del governo
non è stata tale da incidere sulle realtà locali visto che il Partito
democratico ovunque ha perso voti rispetto alle precedenti Regionali, senza
guadagnarne nemmeno uno alla sua destra. Il Pd uscito oggi dalle urne
assomiglia moltissimo al Pd di Bersani, o di Veltroni, ovvero a quel partito
che non era in grado di vincere fra l’elettorato del paese. È vero che il
centrodestra, indipendentemente dalla Regione Liguria, non è in grado di
ricomporsi. Al limite, può subordinarsi alla Lega e sparire in tutto il
mezzogiorno. Ma questa non è una notizia consolante per il governo. Intanto
perché c’è la variante 5 stelle, che magari domani potrebbe essere un alleato
della Lega senza nemmeno bisogno di passare per Berlusconi. Poi, conti alla
mano, la maggioranza di governo di Renzi non si poggia nemmeno sul 30 per
cento del corpo elettorale. Premesso che Alfano in queste amministrative era
ovunque o quasi, con Forza Italia, il suo nuovo partito fuoriuscito dal corpo
berlusconiano non vale il 4 per cento nonostante ministri, sottosegretari,
parlamentari e i sondaggi che lo glorificano. Quanto a “Scelta civica”,
proprio non esiste più, mentre il Pd quando gli va bene supera il 20% dei
consensi. Allora vorremmo dare al presidente del consiglio una parola di conforto.
Se egli vuole riformare davvero il Paese e non tiranneggiare il parlamento,
l’occasione non è persa. La politica a differenza della guerra passa per
sconfitte che a volte possono essere molto più salutari e confortanti di grandi vittorie. Basta riuscire a capire i propri
errori ed avere voglia di correggerli.
Roma, 1 Giugno 2015
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